In assoluto, uno dei concetti più importanti in ambito di domotica personale, nella realizzazione progressiva, nel tempo, della propria smart home, è quello di “integrazione” (o “commissionamento”, quando si parla di Matter) dei propri componenti.
Cosa significa, dunque, integrare?
È un concetto tanto semplice quanto difficile da far comprendere: ci provederemo attraverso esempi pratici e concreti.
Tale concetto descrive la possibilità di far cooperare un dato componente (un attuatore, un sensore, un generico dispositivo, quel che sia) nell’ambito dell’ecosistema per cui è stato realizzato o terzi, diversi. Le modalità e il grado di integrabilità domotica di un componente smart ne descrivono, implicitamente, il suo valore relativo – al netto, ovviamente, delle proprie funzionalità, della sua qualità costruttive e altro.
N.b. Se si è completamente all’asciutto in termini di competenze, si consiglia di leggere il presente articolo con grande calma, soffermandosi sulle parole, nonché di dare lettura del nostro breve percorso di formazione sulle basi della domotica. |
Nel concreto
Prendiamo a mo’ d’esempio una lampadina intelligente wireless basata su standard ZigBee appartenente alla linea Philips HUE. Tale attuatore, per essere controllato tramite l’ecosistema Philips (ovvero tramite la relativa “app” per Android e iOS) dev’essere collegato al BRIDGE/Gateway previsto dalla propria linea prodotti, il quale funge da “ponte” tra lo standard ZigBee alla rete Internet – e quindi al cloud del produttore Philips, cloud al quale poi accede anche l’app di gestione di cui sopra. Questa è una primissima forma di integrazione, sebbene scontata in quanto prevista per design. Nel momento in cui decidessimo di “collegare” logicamente tale servizio cloud ad Alexa (tramite l’apposita “skill d’integrazione”), si potrà dunque controllare la lampadina tramite comandi vocali: ecco che avremo realizzato un’uteriore, seconda integrazione.
Prendiamo poi un altro ecosistema noto, quello di LUMI Aqara. Anch’esso basato sul sopracitato ZigBee (in realtà anche su altri standard, ma per ora sorvoliamo), prevede che i suoi sensori/attuatori/dispositivi si colleghino a un BRIDGE/Gateway (eg. l’Aqara M2) e vengano controllati, analogamente, con la propria “app” mobile.
Dato che un componente basato su standard ZigBee prevede che esso sia “noto” all’ecosistema che lo integra (tramite il proprio BRIDGE/Gateway), è facile immaginare che l’ecosistema Aqara “non conosca” le lampadine Philips HUE e viceversa, quindi, in possesso di entrambi i BRIDGE/Gateway, apparentemente questi due ecosistemi non potranno rispettivamente integrare componenti uno dell’altra.
Dato però che entrambi gli ecosistemi supportano Matter (un sovra-standard concepito per risolvere queste problematiche), tramite esso è possibile “far parlare i due ecosistemi” (quindi integrarli tra loro), a patto di possedere, ovviamente, entrambi i due rispettivi BRIDGE/Gateway. L’alternativa può essere quella di utilizzare un terzo elemento – per esempio Alexa – a mo’ di “terra di mezzo”: integrando entrambi gli ecosistemi presso di esso (anche senza bisogno di scomodare Matter), sarà possibile gestire i componenti di entrambi gli ecosistemi. Questo però non è il migliore dei mondi possibili, dato che il mestiere di Alexa non è propriamente questo (leggi approfondimento) e sopratutto, affinché il tutto funzioni, è sempre necessario sfruttare la rete Internet e i rispettivi cloud – con tutti gli eventuali problemi di prestazioni, sicurezza, affidabilità e quant’altro.
Rimanendo nel solco dell’esempio, dato che ZigBee è uno standard “open”, è possibile aggirare la questione sopra realizzando in proprio un BRIDGE/Gateway “jolly”, così da avere un unico coordinator ZigBee per gestire diversi componenti di diversi brand: a sua volta, questo “ecumenico” BRIDGE/Gateway può essere integrato verso altri ecosistemi. E’ il caso di ZigBee2MQTT, ZHA e altri.
Sebbene utile a spiegare in parte il concetto di “integrazione”, ZigBee è solo un esempio. Lo stesso identico discorso si può fare su Z-Wave e, molto similarmente, con componenti Wi-Fi/Ethernet, i quali però differiscono nel fatto di non necessitare di alcun BRIDGE/Gateway, perchè già di per sé connessi alla rete LAN. Se guardiamo a componenti Wi-Fi di diverse linee di diversi produttori, tipicamente essi non potranno “parlare” tra di loro, salvo utilizzare qualcosa di intermedio, come per esempio il già citato Alexa, sebbene usato in modo improprio (come già detto).
Metodologie di integrazione
I componenti Wi-Fi/Ethernet (inclusi gli stessi BRIDGE/Gateway di cui sopra) che offrano un certo margine di integrabilità lo fanno in due possibili modi: via cloud e/o localmente. Nel primo caso, i componenti “parlano” col cloud , nel secondo offronto una “intelocuzione” locale, via LAN (Wi-Fi o cablata che sia).
Ora, l’integrazione tra ecosistemi è importante e, a dirla tutta, il già citato Matter si sta rivelando (e si rivelerà) uno degli strumenti più concreti per aumentare il livello di integrabilità dei componenti del panorama smart home. Dotarsi di componenti compatibili Matter è sicuramente positivo perché garantisce, nel futuro, un grado di integrabilità costante e garantito – almeno stando dalle condizioni operative di oggi.
Al netto di Matter, oggi i componenti realizzati in una chiave open consentono, come detto, integrazioni cloud e/o locali, quest’ultime ovviamente preferibili per prestazioni, sicurezza e privacy. Matter risolve il problema di permettere l’integrazione tra diversi ecosistemi (e relativi componenti); le integrazioni più “tradizionali”, quelle via API (via cloud o locali che siano) sono invece utili in altri contesti, ben più importanti.
Sì, certo, su Alexa e similari, ma dove conta di più è certamente nell’ambito degli HUB personali. Concepiti esplicitamente per fungere da reali aggregatori di funzionalità e servizi, gli HUB personale permettono di integrare un enorme quantità di diversi servizi e componenti (basati sulle più diverse tecnologie e modalità di integrazione) in modo da gestire realmente la propria domotica DIY in modo centralizzato.
Va da sé che per gli utilizzatori – un numero enormemente in crescita – degli HUB personali il grado di integrabilità di un componente sia uno dei parametri chiave per la scelta dell’hardware da introdurre nella propria abitazione: i componenti non integrabili, naturalmente, hanno molto meno appeal di quelli facilmente e positivamente integrabili.
Per esempio, su Home Assistant (il più noto e adottato HUB personale open-source) abbiamo rilasciato una guida ad hoc per capire quanto un componente sia integrabile, così da capire a monte di un acquisto se la scelta del componente sia appropriata o meno.
Si considerano “integrabili” anche quei componenti non nativamente domotici che, tramite tecniche intelligenti e alternative, consentano di ottenere il risultato. “Domotizzare” il non-domotico, infatti, è spesso fattibile tramite disparate tecniche.
Ricapitolando
Il grado di integrazione di un componente descrive la possibilità di utilizzarlo anche presso altri ecosistemi oltre quello per cui è concepito. Il massimo dell’integrabilità è rappresentata da un componente che sia – direttamente o tramite un BRIDGE/Gateway – integrabile a un HUB personale che centralizzi la propria domotica; anche le integrazioni verso piattaforme non propriamente concepite come HUB è positiva (Alexa, Google Home ecc.), così come quelle dirette tra diversi ecosistemi, sfruttando sovra-standard come Apple HomeKit o Matter, sono importanti, anche se – come non ci stancheremo mai di dire – sono solo un ripiego limitante rispetto all’adozione degli HUB personali.
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