In un recente episodio di “Stacey on IoT” (un podcast in lingua inglese dedicato al mondo dell’Internet of Things) l’ospite Mark Benson, responsabile del settore ingegneristico IT di Samsung, ha rilasciato una serie di dichiarazioni tali da scuotere il sottobosco di chi utilizza, per la propria domotica personale, l’ecosistema rappresentato da Samsung SmartThings.
A quanto pare tale ecosistema subirà, nel corso dell’anno a venire, svariati cambiamenti che coinvolgeranno sviluppatori, produttori di componenti e, ovviamente, i suoi utenti: a quanto pare Samsung pare voler migliorare, a modo suo, l’esperienza utente e la sicurezza. Più che cambiamenti, comunque – sebbene manchino ancora molti dettagli – pare più un piccolo terremoto.
Le variazioni toccheranno sia al comparto hardware che a quello software. Sul fronte hardware le notizie sono in parte positive: il produttore coreano infatti fornirà agli altri produttori le specifiche per realizzare componenti direttamente integrabili con l’ecosistema, così da aumentare in modo sostanziale la varietà degli strumenti disponibili – un po’ quello che tempo fa fece Apple col sul programma HomeKit, cosa che però ad oggi non ha avuto, pare, gli effetti sperati (in termini di numerosità di componenti compatibili).
Ciò che invece succederà in senso negativo, sempre dal fronte hardware, è l’uscita dalla compatibilità con SmartThings di componenti hardware (nativamente compatibili) ormai datate, per esempio i sensori e gli attuatori venduti a suo tempo in abbinamento al primissimo HUB uscito. La cosa non sarà istantanea: pare che verrà dato un preavviso di circa trenta giorni. Wow.
In soldoni, molti utenti si troveranno per le mani componenti le quali, malgrado ancora funzionanti, non funzioneranno più con l’ecosistema Samsung.
Dal punto di vista software, invece, i primi cambiamenti evidenti saranno la migrazione forzata degli utenti che utilizzino la vecchia app di gestione (quella del primo HUB, per capirci) sulla nuova, uscita ormai da circa due anni. Dimenticatevi le vecchie abitudini, dunque. Secondariamente, gli utenti che sinora realizzavano i device handler tramite Groovy per integrare componenti non nativamente compatibili con SmartThings dovranno a breve dire addio a questo approccio, così come dovranno abbandonare l’uso dell’IDE (integrated developement enviroment) per tali sviluppi. In alternativa verranno messe a disposizione delle non meglio precisate API lato cloud Samsung tutto questo, comunque, non prima del 2021.
Il problema di queste mosse sul fronte software è la possibilità che molti sviluppatori della vecchia guardia si allontanino da questo ambito. Quando venne alla luce, SmartThings sostanzialmente consentiva a chiunque di realizzare device hanlder personali per integrare virtualmente qualsiasi tipologia di componente e questo, col nuovo modello, non sarà più garantito. Sicuramente verranno mantenuti come validi gli hander attualmente disponibili, ma ciò che succederà in termini di evoluzione è tutto da vedere. Dal nuovo corso, in sostanza, sarà necessaria una competenza superiore per sviluppare del proprio codice che parli con le API SmartThings il che, rispetto agli handler, è certamente una complicazione che potrebbe inficiare l’evoluzione di un ecosistema che, al di là di tutto, ancora oggi stenta a prendere piede.
Certamente questo potrebbe risultare, invece, un vantaggio per chi sa sviluppare; resta il fatto, però, che con l’introduzione delle API proprie dell’ecosistema SmartThings sarà Samsung a decidere, arbitrariamente, quali funzioni consentire e in che modo. Per capirci, la casa coreana potrebbe anche decidere di escludere dal programma sviluppatori che non rispettino alla lettera le sue direttive, oppure arbitrariamente non supportare più determinate funzioni.
Ricordate la querelle di Nest, passata di mano ormai da tempo in Google? In quell’ambito siamo passati rapidamente da componenti altamente integrabili un po’ con tutto a componenti sostanzialmente chiusi e coi quali interagire solo e unicamente tramite le specifiche Google: all’inizio sembrava una buona notizia, ma alla fine si è trasformata – o almeno per ora – più che altro in un problema per gli utenti.
La speranza è che Samsung guardi all’errore di Google come un’opportunità per far meglio, sebbene alcune critiche palesi rimangano sul tavolo rispetto questo nuovo modello operativo.
LE CONSIDERAZIONI DI INDOMUS.
Ci piace tutto questo? Francamente, no.
Già il fatto di vedere diventare in poco tempo completamente inutili delle componenti – per decisione di Samsung – obsolete, seppure perfettamente funzionanti, è qualcosa che alle nostre orecchie risulta totalmente insopportabile. Per non parlare poi della stretta data con l’introduzione delle API: solitamente supportate da un grande entusiasmo, in questo caso risultano essere un handicap, se paragonate al grande spazio di manovra, autonomia e flessibilità garantiti dai device hander, ovvero un modello che realmente distingueva SmartThings da qualsiasi altro ecosistema di tipo buy (cioè acquistato). Ora piuttosto si retrocederà, invece di andare avanti, proprio quando SmartThings sembrava fare positivi passi in avanti rispetto alla sua adozione in tutto il mondo.
Noi di inDomus siamo e saremo sempre e per sempre favorevoli solo a componenti ed ecosistemi ospitanti aperti, duttili, che lascino all’utente il controllo, senza vincolarlo a decisioni aziendali o comunque a vincoli tecnici che sviliscano non solo gli investimenti economici fatti, ma anche e sopratutto il tempo speso a rendere tutto omogeneo e funzionante.
Ci auguriamo per Samsung e per chi utilizza SmartThings che questo progetto non diventi una nuova Apple HomeKit che, come sappiamo, vive un declino ogni anno più marcato per tanti e diversi motivi.
Noi, dal canto nostro, rimaniamo affezionati ai nostri cari HUB personali software che, ogni giorno di più (anche e sopratutto alla luce di notizie come questa) di rivelano sempre di più la scelta vincente (nonché gratuita) per definire la propria domotica personale.
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